DIARIO (BLOGBIKE)

Qui ho voluto riportare, e riporterò, fatti, episodi, resoconti, di uscite che per qualsiasi motivo hanno un loro aspetto curioso e/o particolare, tale da meritare, di essere raccontato.
Una sorta di diario personale, che di tanto in tanto scrivo per aiutarmi a ricordare, dato che la memoria mi fa proprio difetto, da andare a rileggere e farci qualche riflessione, o qualche risata, o un'emozione particolare.
E quindi, perché no? Da condividere per chi ha voglia di leggere.
Non ci sono nomi di eventuali altre persone coinvolte, per ovvi motivi di privacy… :-)

 

 

 

 

 

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SCORTE ADEGUATE! (Agosto 1998)

Uscita con un carissimo amico, ex collega di lavoro, ora in pensione. Non ci si lasci ora ingannare dall'età, perché malgrado questa è incredibile le capacità che ha in bici, considerando che compie uscite in piena montagna di 150-180 Km!
Io ci esco raramente, anche per questo, perché ogni volta è un'impresa per me stargli dietro ( su percorsi più brevi naturalmente) e devono passare almeno un paio di anni tra un'uscita e l'altra, per dimenticare quanto mi fa soffrire.
Questa è una di quelle, meta il monte della Croce, sovrastante Terni, su un percorso che per me, a quei tempi, era al limite delle possibilità. Tant'è che in quattro anni di MTB (fino ad allora) non ero mai caduto; quel giorno tre capitomboli memorabili! Mai forato pur praticando prevalentemente fuori strada (sarò stato effettivamente fortunato). Quel giorno: prima foratura; sostituisco la camera d'aria con quella di scorta. Seconda foratura: scendo e inizio a tirar fuori l'occorrente per riparare la perdita e lui:
- Beh, ora che fai? Ti metti a riparare la ruota? -
- Certo, come faccio altrimenti? -
- Ma non hai una camera d'aria di scorta? -
- Si, ma l'ho usata prima… -
- E te ne porti dietro solo una? -
- Ma… non ho mai forato in tutti questi anni, una mi è stata sempre più che sufficiente; quante ne dovrei portare? -
- Una?! Io ne porto quattro! -
- !?! -

 

 

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FINALE... COL BOTTO (1 Settembre 2000)

PREMESSA: Da sempre, ma in particolare in quel periodo, mia moglie era preoccupata dal fatto che andavo in bici da solo e mi consigliava (giustamente) di andare in compagnia di qualcuno, soprattutto nei posti più isolati e fuori mano. Il principale candidato poteva essere un amico che conoscevo da un paio di anni, grande agonista (è sempre alla ricerca della performance migliore…), anche se frequentatore quasi esclusivamente di strade asfaltate, che più volte mi aveva chiesto di andare insieme. Ora bisogna sapere che questa persona è nota per la sua vena polemica su tutto; non è affatto difficile sentirlo brontolare e discutere animatamente su qualsiasi argomento ed è incredibile quanti riesce a trovarne su cui polemizzare. Cosicchè ben conoscendolo, in previsione di una possibile uscita con lui, nelle mie ultime escursioni, proprio mentre pedalavo, cercavo di immedesimarmi: quasi chiudevo gli occhi (si fa per dire…) e me lo immaginavo lì con me. E me lo sentivo dire: - Però, è troppo freddo…, è troppo caldo…, è troppa salita…, è troppa discesa…, è troppo facile…, è troppo difficile…, è troppo…, ecc. ecc. - Chissà quali argomenti sarebbe riuscito a trovare! Però… ok, un giorno, di pomeriggio, ci si accorda e si parte.
FINE DELLA PREMESSA.

Prima di partire si era parlato del tragitto che gli avevo descritto ampiamente, quello che già conoscevo fino a Montebibico, e sommariamente quello che ci avrebbe portato in Val di Serra via Castagnacupa, spiegandogli che per questa parte ci saremmo serviti di una dettagliata cartina militare che avevo con me e delle spiegazioni che avevo raccolto in quel periodo da qualche abitante di Montebibico. Partenza da Terni, si percorre la Flaminia, Strettura e la vecchia Flaminia; superata la quota dove si trova la galleria, valico per chi percorresse la nuova Flaminia verso Spoleto, prima avvisaglia:
- Tu mi hai fregato! -
- !!! Cioè? -
- Mi avevi detto che arrivati sulla Somma avremmo scollinato, e invece è ancora peggio! -
E io a spiegargli di nuovo quello che già gli avevo spiegato e quello che ci aspettava ancora. E lui:
- Ma così non va bene, non va per niente bene; ma ti rendi conto che abbiamo fatto 18 Km solo ed esclusivamente di salita? Così non fa proprio bene! -
- Hai ragione, ma se ci mettevamo anche a fare un tratto di pianura per fare riscaldamento, si sarebbe perso tempo prezioso, utile per il tratto che non si conosce, non sapendo cosa ci aspetta. E poi non si può definire salita il primo tratto di dieci chilometri che al max era del 3%! -
La cosa curiosa è che protestava e borbottava chiaramente contrariato, però procedeva quasi costantemente venti metri davanti a me e non usava mai l'ultimo rapporto più agevole. E continuava a lamentarsi affaticato.
Finalmente la salita termina e si può riprendere fiato procedendo verso Montebibico.
Al paese si fa rifornimento di acqua e ne approfitto per chiedere ad un abitante ulteriori dettagli sulla strada, che confermano quanto già già sapevo: prima di Castagnacupa, prossimo paese abitato, passeremo in altre due piccole frazioni, la prima, vicina, disabitata, mentre nell'altra viveva solo un'anziana signora.
Si riparte, con il mio compagno che non pare molto tranquillo. In effetti poco dopo, in corrispondenza del primo paesino disabitato, c'era un bivio non menzionato mai da nessuno. I due minuti impiegati per consultare la cartina e prendere una decisione sulla strada da seguire devono averlo mandato in crisi ancora di più: è iniziata a crescere in lui la paura per l'inesplorato e sconosciuto. Proseguendo infatti per la direzione che per me era quella giusta, aumentavano di più i suoi timori:
- Non sarebbe meglio tornare indietro?… Guarda che non è questa la strada giusta… Faremo notte in mezzo alle montagne! -
Considerando poi che secondo lui andavamo nella direzione sbagliata per Val di Serra, indicando come giusta quella diametralmente opposta a quella che stavamo tenendo (che si sarebbe rivelata invece corretta).
Per di più le difficoltà del fondo stradale, a tratti veramente brutto, contribuivano ad aumentare il nervosismo e le preoccupazioni per via di un suo copertone consumato (magari, pensavo, sarà anche perché la sua bici è troppo costosa e quindi preziosa per certe strade, rispetto alla mia che varrà un decimo…); negli impatti più violenti con buche e sassi si sentiva inveire (avete presente tutti quei buffi simboletti nei fumetti, di chi è furibondo?):
- Acc… malediz… chi me lo ha fatto fare… dannaz… porc… vaff…- Era iperagitato! E io a quel punto non ho più resistito; ricordate la premessa? Ecco, si stava avverando totalmente tutto quello che avevo sempre immaginato con lui: le sue lamentele e proteste. E ho iniziato a ridere senza riuscire a trattenermi; più lui imprecava, più mi ritornava in mente tutto come se l'avessi già vissuto e mi veniva da ridere. Senonchè quando rido così di gusto ho il difetto che mi lacrimano copiosamente gli occhi: proprio in quel tratto di strada (che sembrava più un fosso) in discesa, in velocità, vedevo tutto appannato, rischiando notevolmente la caduta.
In lui invece il nervosismo e l'agitazione avevano preso il sopravvento:
- Non ne usciamo da qui; ma guarda, chi se lo sarebbe mai aspettato: uno meticoloso e preciso come te, andare così all'avventura, fare una strada senza conoscerla… E' da matti! Se ne usciamo col cavolo che mi vedrai più!-
Ed io per cercare di tranquillizzarlo:
- Ma se non la fai almeno una volta come farai mai a conoscerla una strada! E poi in sette anni, questo è quello che faccio di solito: mai fatto notte in bici!-
Ma il massimo è stato quando da un momento all'altro si sarebbe dovuta lasciare la ripida strada in discesa per prenderne un'altra sulla sinistra (come da cartina), che ci avrebbe portato al paese di Castagnacupa (ripensandoci: che questo nome abbia contribuito a creare l'atmosfera minacciosa e pesante?). Lui preso dalla rabbia e dalla fretta mi precedeva di oltre 50 metri e quando mi vedo sfilare sulla sinistra la stradina da prendere lui si era già infilato in uno dei tratti più scoscesi, tanto che nel bosco nemmeno lo vedevo più. Lo chiamo urlando, dicendogli di fermarsi e lui in lontananza lo sento gridare, con un tono che si può immaginare:
- Perché?…. Che vuoi?… Che c'è?…-
Io quasi non osavo dirgli che doveva rifarsi in salita quel tratto, tanto più che per conferma definitiva stavo chiedendo all'unica abitante di Catinelli che avevo scorto vicino alla sua abitazione se quella deviazione fosse giusta per Castagnacupa. Dopo la sua conferma mi decido di rispondere a lui, urlandogli:
- Torna su!-
- Perché?-
- Perché bisogna cambiare strada!-
Beh, non ci sono parole per descriverlo: sembrava un toro infuriato, a piedi, spingendo la bici al fianco mentre risaliva, rosso in volto, ansimante e madido di sudore; meno male che non aveva fiato per dire nulla! L'impulso di ridere era forte, però non osavo: mi sembrava distrutto, soprattutto moralmente, preoccupato all'inverosimile. Per fortuna che i suoi problemi sono finiti lì (e sono iniziati i miei).
Dopo un po' infatti torniamo nella "civiltà" giungendo a Castagnacupa e almeno possono dirsi terminate le paure di perdersi. Da qui oltretutto c'era quasi tutta discesa anche se lui era preoccupato da un paio di chilometri di leggera salita che più avanti, in Val di Serra, ci avrebbero potuto rallentare e far tardare. Così nell'ampia discesa su strada bianca che scende dal paese mi metto a tirare con una certa andatura (che solitamente non adotto per prudenza); per di più per tirarlo su di morale ho la malsana idea di togliere una mano dal manubrio indicandogli il bel panorama della vallata e voltandomi indietro per un attimo:
- Ma tu un panorama come questo quando mai l'avresti visto!!!-
Non l'avessi mai fatto: le ruote mi si infilano in un solco probabilmente scavato dalla pioggia, il manubrio mi scappa quasi anche dall'altra mano e quando riesco a riafferrarlo per bene era troppo tardi avendo perso oramai il controllo.
In un flash, a quella velocità mi vedo all'ospedale (se tutto va bene). La bici sbandava piegandosi ora su un fianco ora sull'altro e io cercavo oltretutto nei limiti del possibile anche di "guidarne" la traiettoria verso destra, visto che a sinistra, verso valle, c'era il precipizio, senza protezioni! Sembravo galleggiare sulla ghiaia e i sassi, da oramai diversi metri, tanto che rallentavo sempre di più di velocità e… miracolo: forse addirittura sono così "bravo" che riesco anche a non cadere? Illusione! Tonfo a terra con conseguente ruzzolone; almeno c'è la consolazione di aver avuto l'impatto ad una velocità circa dimezzata rispetto a quella iniziale.
Lui sopraggiunge preoccupatissimo:
- Dio, che volo!!!… Che volo!!! Come stai?… Come ti senti?… Che ti sei fatto?… Chi devo chiamare?-
Io mi ero subito rialzato, rassicurandolo che malgrado tutto stavo bene, constatato che non mi pareva di avere nulla di rotto, ma solo ampie lacerazioni su coscia, gomito e spalla destri. Mi verso l'acqua della borraccia sulle ferite per ripulirle dal terriccio e lo esorto a ripartire. Risalgo in bici, ma fatto nemmeno un metro, malgrado fosse discesa la bici resta come inchiodata!
Scendo, controllo i freni: a posto; i pedali e la catena: a posto; la ruota anteriore: a posto; la posteriore: completamente deformata, con una deviazione sul piano di qualche centimetro, tanto che questa ruotando andava ad incastrarsi sia sui pattini dei freni che sul telaio, sui bracci di sostegno della stessa. La smonto, ma malgrado gli sforzi congiunti di entrambi, non riusciamo minimamente a raddrizzarla, nemmeno saltandoci sopra. Non resta che provare a rimontarla fuori asse, sperando questo sia sufficiente a compensare la deformazione.
L'esito non è proprio quello sperato, però ora si riesce almeno a vincere l'attrito del copertone sul telaio, mentre il freno posteriore era stato sganciato, ma tanto non serviva, dovendo pedalare anche in discesa.
A bassa velocità, con il posteriore che "scodinzolava" ad ogni giro di ruota, fermandomi di tanto in tanto per cambiare il fuori asse in modo che il contatto con il telaio avvenisse ora su un fianco ora sull'altro del copertone, per evitare che il surriscaldamento, sempre sullo stesso punto, facesse cedere lo stesso copertone o la camera d'aria, si arriva finalmente a fondo valle.
Qui do ampie rassicurazioni al mio compagno che oramai poteva andare, essendo inutile aspettare il buio entrambi ed essendo vicino lo scalo ferroviario di Giuncano da dove avrei chiamato al telefono mia moglie.
Alla piccola stazione riesco infatti a telefonargli, grazie anche ad un gentile ferroviere che mi permette di usare l'apparecchio di servizio, essendo rotto il telefono pubblico, raccontandogli l'accaduto e dove mi trovassi e spiegandogli che mi avrebbe incontrato lungo la strada, nel punto dove sarei arrivato, lungo l'unica strada della Val di Serra, visto che io avrei provato a proseguire ad oltranza, finché la camera d'aria o il copertone non mi avessero piantato in asso.
E invece, malgrado fossi certo di questo, continuando con la "tattica" della modifica del fuori asse ad ogni chilometro, riesco a giungere alla periferia di Terni, a Rocca San Zenone, da dove non potevo più proseguire per non mancare l'incontro con mia moglie.
Anzi ora la grossa preoccupazione era proprio verso lei e mio figlio piccolo che insieme avrebbero dovuto da tempo raggiungermi, visto che io avevo coperto in quelle condizioni, più strada di quanta ne avrebbero dovuta far loro in auto. La poca dimestichezza con l'auto nuova che non aveva mai guidato, la zona che non conosceva, il buio, mi stavano facendo maledire l'averla chiamata.
Invece aveva solo sbagliato strada e dopo un po' finalmente è arrivata.

Da quel giorno comunque, chissà perché, ha smesso di chiedermi di andare in bici con qualcun altro…

 

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TANTO RUMORE PER NULLA (Estate 2001)

Chi avrà letto la sezione info che descrive il mio pensiero, avrà già avuto modo di intuire quanto io ami la natura e il contatto con essa, quindi incontri come questi rendono un'uscita normale... speciale, soprattutto quando questi sono multipli.
È capitato infatti durante un'uscita mattutina, percorrendo la strada verso Portaria, che mi attraversasse la strada proprio a pochi metri un piccolo animale con una grossa coda: era un delizioso cucciolo di volpe! E benché gli fossi quasi addosso, stranamente, non è che si affrettasse troppo nell'infilarsi nella vegetazione del margine opposto della strada; evidentemente era proprio un cucciolo inesperto, che ancora non aveva avuto modo di conoscere bene gli umani!
Doveva essere proprio la giornata propizia per gli incontri ravvicinati con la fauna; infatti circa un'ora più tardi nel bel mezzo delle montagne (per la cronaca percorrevo il percorso Aa), immerso nel silenzio più assoluto, a parte il poco rumore provocato da me, percorrevo un tratto di pianura.
Come detto la calma era assoluta, quindi c'è da immaginarsi, l'effetto in me di un trambusto generale ed improvviso tutto intorno: sono trasalito! In un secondo infatti da tutte le parti c'era un rumoroso fuggi fuggi generale: erano un branco di cinghiali, circa 10-15, appartenenti a più cucciolate considerando che la maggior parte erano di piccola e diversa taglia.
Loro scappavano evidentemente spaventati dal mio passaggio, io non mi sono fermato anzi ho continuato a pedalare ancora più forte per allontanarmi dalla zona: pur sapendo che loro scappavano da me è sempre prudente allontanarsi in presenza di animali adulti che per proteggere i loro piccoli, potrebbero anche avere comportamenti imprevedibili che normalmente non hanno.
Fattostà che un piccolo gruppo, 4 o 5, sono scappati proprio nella mia direzione di percorrenza: c'era in pratica un testa a testa a pochi metri di distanza, con me che tentavo di allontanarmi da loro e loro, alla mia destra, che cercavano di scappare da me. Il fatto era che la cosa perdurava essendo obbligati e paralleli i nostri percorsi: io per via della strada (non potevo certo infilarmi nel "loro" bosco) e loro per via della conformazione del terreno che impediva di allontanarsi da me ancora più verso destra.
Loro non si fermavano; io nemmeno!
Dubbio: "Se mi fermo? Benché è evidente che il loro unico intento è scappare... Finchè corro pare non riescano a raggiungermi, mentre se mi fermo, seppure l'ipotesi è remota potrei essere un facile bersaglio".
Così io continuavo e loro pure, oramai da qualche centinaio di metri; tra l'altro non riuscivo a scorgere se si trattasse di adulti o di cuccioli, visto che erano nascosti parzialmente dalla vegetazione ed oltretutto tutta la mia attenzione era sulla strada sterrata e quindi abbastanza sconnessa.
Finalmente dando fondo alle energie, con una leggera accelerazione li ho un po' distanziati e a quel punto devono aver capito che potevano fuggire dalla direzione opposta: in breve il rumore si andava sempre più allontanando, finchè pian piano è cessato del tutto.
In ogni caso un'esperienza da ricordare con estremo piacere.

 

 

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LIBERO SFOGO SU CERTI DOTTORI (Dicembre 2002)

Questo non è il solito racconto di un qualche episodio relativo ad un'uscita, ma è comunque la cronaca di una vicenda che è in qualche modo inerente al mondo della mountain bike (nel mio caso) e può esserlo al mondo dello sport in genere (ma non solo) e dei conseguenti problemi fisici più o meno gravi a cui si può andare incontro. Perché c'è dottore (o presunto tale) e Dottore!
Chi avrà avuto modo di leggere di più di me, avrà capito quanto io ami il mondo della mountain bike, quindi può intuire che dramma il giorno che ci si trova con il responso: "Non toccare mai più una bici!"
A seguito infatti di qualche problemino al ginocchio destro, che mi ha un po' limitato durante tutta la mia stagione 2002, decido alla fine dell'autunno, di sottopormi ad una visita ortopedica, avvalendomi della struttura pubblica locale. Dopo 50 giorni dalla prenotazione ho la visita. Il dottore mi chiede quali sono i sintomi, mi fa togliere i pantaloni, mi osserva prima in piedi, poi sdraiato, "manipola" per un minuto il ginocchio; responso:
"Lei è affetto da condromalacia rotulea bilaterale!"
"Cioè?"
"La rotula non lavora allineata e la cartilagine si è talmente usurata che non può più andare in bici!"
"Ma temporaneamente, no?"
"Ne ora ne mai più!"
Vi immaginate? Mi sembrava improvvisamente di vivere un incubo. Possibile una cosa del genere? A nemmeno 36 anni! Non riuscivo a capacitarmi:
"Ma... una cura... qualche cosa... al limite un'operazione... ci sarà pure qualcosa che si può fare al giorno d'oggi!"
"Ma scherza? Indovinare il riallineamento di una rotula e come azzeccare un terno al lotto; sono operazioni che si fanno solo in casi estremi, a chi proprio non riesce nemmeno a camminare, figurarsi se io opero uno perché vuole continuare ad andare in mountain bike! Si metta l'anima in pace."
Questo è il sunto della visita.
Che disperazione! Torno a casa e come spesso faccio mi affido a internet per cercare soluzioni; condromalacia rotulea: trovo tutta una serie di interventi scritti da persone affette, di esperienze vissute, di consigli di dottori. Prima cosa comune a tutti: le diagnosi erano a seguito di una serie di accertamenti, primi tra tutti radiografie a diversi angoli di flessione del ginocchio. Seconda, terapie praticate: ultrasuoni, fisioterapia, laser, fino a colture di condrociti e trapianto cartilagineo. Perché a me nono sono stati richiesti esami di accertamento, ne sono state fatte ipotesi di terapie? Sono un caso talmente conclamato e disperato?
Decido di darmi un'altra chance rivolgendomi privatamente qualche giorno dopo ad un ortopedico che nella mia città raccoglie molti consensi.
Mi vengono chiesti anche qui i sintomi, viene esaminato il ginocchio, piegato, manipolato... Diagnosi:
"Nulla! Solo una insignificante plica sinoviale che fa sentire quello scattino durante l'estensione. Nulla di patologico, niente cure da indicare perché nulla c'è da curare. Può praticare qualsiasi sport."
"E la condromalacia?"
Ero ancora sdraiato sul lettino, mi afferra la gamba forzando con il taglio della sua mano sull'inserzione della rotula:
"Ecco, se lei fosse stato affetto da condromalacia rotulea, ora avrebbe fatto un salto fino al soffitto!"
Mi sembrava di essere rinato; lo avrei quasi abbracciato!

Ma vi rendete conto? Io non voglio fare le solite critiche alla struttura pubblica, ma come possono esistere persone ("dottori" non mi riesce di pronunciarlo) che "stroncano" così le persone o le loro passioni? Come lo si può fare con tale leggerezza?

 

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ITALY BIKE HOTELS? (Giugno 2003)

Anche quest’anno durante la mia settimana di vacanze estive ho voluto dedicare qualche ora all’esplorazione di qualche percorso per mountain bike nel luogo di villeggiatura: nel 2003 è toccato all’isola d’Elba. E come ogni anno non utilizzo la mia mountain bike, vuoi per problemi di trasporto, ma soprattutto perché considero “sacra” questa settimana da passare insieme alla mia famiglia. Mi limito perciò a “dedicarmi” mezza giornata, utilizzando uno dei mezzi che si possono trovare sul posto da prendere a noleggio. Questa volta è toccato (per la prima volta) ad un hotel (senza fare nomi), che tra l’altro era quello che ci ospitava, appartenente alla da poco nata associazione Italy Bike Hotels.
Beh, non so se la mia è stata un’esperienza sfortunata oppure è proprio lo standard qualitativo ad essere basso, ma sono rimasto abbastanza deluso.
Premetto che lo scorso anno, in Val Gardena, per 8 euro, sempre per mezza giornata, in uno dei tanti negozi di sport, ho noleggiato un ottima Trek in alluminio, con gruppo LX e ottimi tutti gli altri componenti, dalla forcella fino ai copertoni.
Questa volta per 9 euro: pazienza per le parti che non considero fondamentali, tipo uno sconosciutissimo telaio (però in alluminio) o gruppo cambio che era un misto Acera/Sys, così come le altre parti (più importanti), forcella, freni, copertoni: tutti “anonimi”. Ma la nota più dolente: la messa a punto!
“La vuole normale o professionale?”
“Beh, professionale; adatta a qualsiasi terreno.”
“Ok. Le do una di queste che essendo state usate anche ieri sono sicuramente messe a punto a dovere.”
“Se fosse possibile opterei per un 18 pollici, l’ideale per me.”
“Ehm…, no…, tanto sono tutte uguali…”
“Ah…”
Beh, a parte i rapporti non adatti in generale per le salite più impegnative e in particolare per un paio di tratti micidiali della dura salita ai monti Perone e Maolo, men che mai i copertoni, con una tassellatura praticamente da strada, non adatte ai ripidi sterrati similsabbiosi, ma che mettevano in difficoltà soprattutto in discesa…; il deragliatore anteriore “ignorava” sistematicamente il comando quando era sulla corona inferiore e al secondo comando saltava direttamente alla maggiore, per cui si doveva dosare un secondo mezzo comando (che personalmente ho preferito, piuttosto che fermarmi a tentare di regolarlo); il freno posteriore aveva una corsa assurda, tanto che era impossibile frenare se non si toglievano tutte le dita dall’impugnatura del manubrio, altrimenti ci batteva la leva, cosa abbastanza pericolosa in qualche passaggio più sconnesso e tecnico; ma il top: dopo poche centinaia di metri di sollecitazioni per una discesa su tratto dissestato, tornato su asfalto, la ruota posteriore ha iniziato a suonare che pareva un’arpa! I raggi erano lentissimi e un paio avevano i nippli che giravano a mano! Per fortuna che durante l’ascesa ho incontrato un occasionale compagno di viaggio (che poi ho scoperto essere uno dei partecipanti del forum mtb-italia, Joe, che pubblicamente saluto e ringrazio), provvidenzialmente provvisto di tiraraggi che con estrema disponibilità e cortesia si è fermato a darmi assistenza.

Con questo non voglio certo sparare a zero su quest'associazione, anche perché una rondine non fa… in questo caso inverno e magari ho beccato la bici più sfortunata dell’intera catena. Tanto più che l’hotel era nell’insieme ottimo e per gli amanti delle due ruote fornito di un’officina per la manutenzione e tutto quanto necessario di supporto per i bikers…, che avessero avuto una bici propria!

E l’Elba è un vero piccolo paradiso per la mountain bike.

 

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DOPING

Ho fatto in questi ultimi anni, così travagliati per il ciclismo, un paio di interventi (pressoché uguali) su due diversi forum relativi a questo sport, i principali a livello nazionale, sul tema doping, dove mi sono sfogato, non riuscendo più a trattenere dentro la delusione, la rabbia, l'amarezza verso chi stava e sta tutt'ora insozzando il mio sport preferito, con i miei idoli che uno ad uno cadono nel fango.
Ho deciso perciò di riportare il tutto anche qui sul mio sito, per ricordare, semmai ce ne fosse bisogno.


Ho sempre avuta la convinzione che lo sportivo è un cultore del proprio fisico (non certo nel termine esasperato del termine), del proprio benessere, sia fisico che mentale, per questo considero chi ci va ad immischiare qualcosa che è solo male, per se e per gli altri, non uno sportivo, ma un vile arrivista.
Io amo (o amavo) il ciclismo, uno sport che insieme a pochissimi altri è fatto di forza e fatica allo stato puro.
Predomina sicuramente il più forte; se uno ha più forza non c'è tattica che tenga per gli altri.
Quindi se si altera artificiosamente la forza... si stravolge il significato di questo sport, non ha più ragione di esistere.
Qui si prevale se si ha più degli altri: polmoni, gambe, muscoli, grinta, volontà, dedizione... e basta!
O li hai, o non li hai. E chi ne ha di più vince; gli altri accettino di fare il secondo, il terzo, il decimo, pensando solo che c'è chi è andato più di loro, che forse non si sono impegnati abbastanza, che, se vorranno, potranno cercare di dare di più la prossima volta.
Che campione si sente chi ha vinto barando? Campioni di disonestà e stupidità! Dei miserabili e subdoli vigliacchi che non sanno combattere ad armi pari, che non hanno rispetto per chi compete usando solo ciò che ha dentro; anche se ciò forse può valere solo a bassi livelli, visto che a quelli alti c'è chi ammette che tutti ricorrono all'aiuto extra.
Io che già considero irresponsabile e con qualche rotella in meno chi fuma (sigarette normali intendo), potete immaginare che considerazione posso avere verso chi si manda certe porcherie nel sangue, nei muscoli, nel cervello, ammesso che un cervello ce l'abbiano, se accettano certe cose.
Che delusione! Delusione che mi ha fatto abbandonare oramai il ciclismo, inteso come evento da seguire, tant'è che mentre prima prendevo addirittura dei permessi dal lavoro per seguirlo, ora so chi ha vinto solo perché lo dicono al telegiornale; sto sempre a chiedermi: chissà se stavolta ha vinto il migliore o quello che meglio è riuscito a doparsi il giusto, senza superare la soglia del legale o perché ha trovato il prodotto che ancora non si scopre?
Considerando che c'è chi "si fa" nel suo piccolo solo per primeggiare nella gara della parrocchia del paese!
Provocazione: a questo punto sarei per una proposta (come detto provocatoria): perché non liberalizzare il doping? Così tutti avranno lo stesso "aiuto" e chi prevarrà sarà a quel punto veramente il più forte (o quello più fortunato, che non ci avrà lasciato le penne).
A quando una corsa vera, tra gente vera, atleti puliti?

Un aggiornamento/appendice, dopo qualche anno, visto che...
Ci risiamo con la consueta ed ennesima solfa: "Terremoto... Shock... Sconcerto..." Chissà perchè a me queste notizie sull'ennesimo caso di doping non mi sorprendono affatto; sarei curioso di sapere se gli organi d'informazione ci sono o ci fanno (più probabile quest'ultimo). L'ennesimo "campione", quello finalmente pulito, quello che faceva bene al ciclismo dopo tanta cacca, è caduto! Ma adesso pare che bisogna salvarlo e anche ammirarlo, perchè ha avuto il coraggio di denunciare. Bravo, bel coraggio, solo dopo essere stato beccato.
Adesso aspettiamo, il prossimo eroe, la prossima faccia pulita del ciclismo, (purchè abbia più accortezza nel non farsi scoprire).
Si, aspettiamo, il prossimo "Terremoto... Shock... Sconcerto..."

Bah... questo è il loro ciclismo, non il mio, per fortuna, che faccio parte di un'altra razza...

 

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UNA "MONOTONA" GIORNATA DI PIOGGIA (Aprile 2005)

È sabato mattina, mio consueto giorno di uscita in bici.
Come al solito prima vado ad accompagnare mio figlio a scuola, percorrendo le poche centinaia di metri fino a questa sotto l’ombrello, perché una leggera pioggerellina ha ricominciato a cadere, dopo la tanta venuta giù nella notte. Mi raggiunge un sms di un amico che si era proposto di farmi compagnia, che mi avvisa che, visto il tempo, lui rinuncia. Il ritorno verso casa è all’asciutto; ha smesso, almeno per ora. Accendo la TV sapendo che ci sono le previsioni e queste preannunciano per l’indomani tempo anche peggiore. Guardo fuori: forse si apre una finestra, almeno temporanea; è la mia!
Da quando ho ripreso l’attività, ai primi di febbraio, dopo la consueta breve pausa invernale, ho fatto solo percorsi collinari, senza mai superare gli 800 metri, sempre con salite brevi e sento la necessità di tornare sui monti e di dedicare l’uscita a rifare un po’ di fiato e gambe, coprendo almeno 1000 metri di dislivello. Allora decido che la meta sarà la “mia” montagna: monte Torre Maggiore. Ce l’ho a portata di mano: parto dai 160 metri del garage e in circa 14 km di sola e ininterrotta, ma mai severa salita, si sale fino a 1020 metri della fine dell’ampia sterrata. Poi lassù qualcosa mi inventerò per i metri mancanti che mi sono prefisso. Sospirone di rassegnazione mentre mi preparo; “odio e amore” per questo monte. Odio perché avendola fatta decine di volte la considero monotona: un’ampia strada sterrata, oramai rimasta tale solo negli ultimissimi chilometri che non ha oramai più nulla di nuovo da raccontarmi. Amore perché è quella che mi appaga la vista e lo spirito, la mia voglia di montagna, ogni volta che mi affaccio dalla finestra di casa… e poi è la mia “salvatrice” in occasioni come questa, quando per mancanza di tempo o per altre complicazioni, come oggi, mi permette di avere a portata di mano un’escursione oltre i 1000. E se proprio dovesse venire brutto, mi rigiro e di volata, più o meno, riscendo a casa.
La rampa del garage rappresenta i primi metri di una salita che non smetterà più fino in cima (alla faccia del doversi riscaldare prima di attaccare una salita... ma oramai ci sono abituato). Guardo su: la cima non si vede; gli 800 metri dello sperone roccioso su cui sorge la chiesa di S. Erasmo sono lambiti da una densa e scura nube, nella quale mi dovrò infilare.
Certo, mi ripeto, non è il massimo; l’ascesa è decisamente svogliata e meno pimpante del solito… Qui non c’è più niente da scoprire. Anche se… passando davanti all’imbocco di un sentiero che prende in discesa, quel sentiero che da anni mi ripropongo di verificare e che invece non ho mai fatto perché avevo sempre di meglio da provare… primo o poi quest’anno lo faccio e scopro se esce e dove porta! Ma ora no, ora c’è solo da salire.
Come previsto, o quasi, prima degli 800 metri c’è la fitta nuvola che mi aspetta e che mi è anche venuta un po’ incontro; mi ci infilo in mezzo ed è proprio tosta: saranno 50 metri di visibilità. Bene, ancora non piove ed è passata più di un’ora, anche se sono costretto a sollevarmi gli occhiali in fronte perché l’umidità è talmente elevata che la pellicola d’acqua che vi si è formata sulle lenti non mi fa più vedere bene. Ad un paio di chilometri dalla fine inizia a piovere. Provo ad insistere nel salire. Quasi un chilometro più tardi la pioggia aumenta e anche il freddo per via di un po’ di vento. Probabilmente mi manca la carica e la determinazione che mi contraddistinguono e che mi avrebbero spinto a proseguire. Penso: fatti 12.5 chilometri, più altrettanto per scendere fanno 25. Un mezzo giro; possiamo accontentarci, considerando che sembrava che per questa settimana, per il maltempo, non se ne sarebbe fatto nulla. Certo, ora che ci penso avevo dedicato l’uscita a farmi 1000 metri di dislivello, invece… Ma oramai sono già in discesa sulla via del ritorno. Mi fermo, ma solo perché la pioggia è aumentata ancora e devo indossare il K-way. Riprendo a scendere. Sono sull’ultimo tratto di asfalto prima del paese di Cesi e vedo sulla destra l’imbocco di quel sentiero; perché non oggi? Certo non so cosa mi riserva e potrebbe essere molto viscido ed insidioso, ma… vogliamo dare un po’ di colore ad un’uscita altrimenti quasi inutile? Mi fermo sull’imboccatura; ha appena smesso di piovere. I primi metri sono decisamente scoscesi e scivolosi per lo strato di fango. Me li faccio bici al fianco. Dopo, risalgo e… una vera goduria. Molto breve, troppo, solo 1200 metri circa di single track nel bosco, ma quel che c’è di meglio è che si riallacciano all’asfaltata per scendere a Cesi. Mi sono proprio divertito nel controllare la bici al limite dell’aderenza, passaggi tra i cespugli bagnati e su scalinature di qualche roccia e tutto è filato liscio, incluso il finale nello scoprire la preziosa alternativa, che mi permetterà finalmente di cancellare definitivamente quasi un chilometro di noiosissimo asfalto per scendere verso il paese di Cesi, che probabilmente non farò mai più, almeno scendendo. Ha ripreso a piovere, ma ora sono gasatissimo; che vado a fare a casa? Tanto più bagnato di così non si può, andrò a fare appena 26 chilometri e non ho fatto i miei 1000 metri. E poi ora sono troppo carico. Sto per uscire sull’asfaltata e ho deciso: tutto daccapo! Almeno finchè non avrò superato i 1000 metri.
In quel momento il rombo di un auto tra la vegetazione mi distoglie temporaneamente dai miei pensieri: ha due bike sopra il tettuccio che di sfuggita mi sembrano serie; e sale. A quanto pare non sono l’unico matto ad andarsene da queste parti in bici sotto l’acqua. Ma questi piuttosto dove vanno? Se salgono su in auto poi lassù che faranno? Forse lo scopriremo se non arrivano fino in cima e se ci mettono un po’ a prepararsi. L’andatura di salita ora assolutamente non ha niente a vedere con quella dell’ascesa precedente: è così che mi piaccio!
Arrivo una seconda volta all’altezza della chiesa di S. Erasmo. I 1000 metri li ho superati e probabilmente anche i 1100, ora posso accontentarmi veramente. Toh, chi si rivede: nello spiazzo sotto la chiesa c’è parcheggiata l’auto di prima, con ancora le due bici sopra; forse ci stanno pensando..., se è il caso. Guardo meglio per vedere se ancora i passeggeri sono dentro. Un finestrino è mezzo aperto e… da questo esce del fumo. Stanno fumando!!! E certo che vengono su in auto, avranno fiato per salire in bici? Un cenno di saluto reciproco, proseguo un altro po’, sia per assaggiare ancora almeno un po’ si sterrato, sia per non rigirarmi proprio di fronte a loro: pare sennò sia andato a curiosare. Mi fermo, ne approfitto per mangiare quel po’ che mi ero portato e bere. Ora posso scendere soddisfatto.
Ripasso di fronte ai bikers fumatori, che devono essersi fatti coraggio vedendomi: sono fuori e stanno salendo sulle bici. Svelato l’arcano: ecco perché potevano permettersi di fumare! Due discesisti, con, ora che li guardo bene, i loro inconfondibili mezzi, tutti bardati nelle loro protezioni. Già, non gli serve fiato per salire, possono fumare tranquillamente… ; anzi chissà... che roba si stavano fumando, visto che si buttano giù per le discese come pazzi! In senso buono naturalmente ;-)
Al pensiero un sorriso mi si dipinge in volto lungo la discesa…
… anche perché più giù, c’era un single track nel bosco che mi aspettava!

 

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SE LA FORTUNA E' CIECA, LA SFORTUNA CI VEDE BENISSIMO! ( Maggio 2006)

Di tanto in tanto sentivo qualche amico biker che mi raccontava di quei certi eventi sfortunati, accaduti prevalentemente ad altri loro compagni di escursione, che spesso e volentieri portavano a conseguenze spiacevoli, che a volte significavano anche ospedale. E in cuor mio, trattandosi di combinazioni particolarmente sfavorevoli, speravo sempre che a me non toccasse mai...

Un bel sabato mattina primaverile me ne sto in esplorazione di nuove zone vicino Calvi dell'Umbria. Sto attraversando un tratto di bosco, tra l'altro provato già la settimana precedente senza alcun problema, per ampliare le possibile vie alternative che la zona può offrire. Il tracciato presenta brevi tratti in salita alternati ad altri più lunghi in discesa; sto appunto percorrendo uno di questi, costituito da un buon fondo battuto e uniforme, un po' coperto da radi residui di un disboscamento evidentemente avvenuto nelle vicinanze, per fortuna ad una velocità come al solito prudente e non elevata.
Ad un certo punto, d'improvviso, la bici si blocca e mi sento catapultare in aria! La cosa è talmente inaspettata e mi coglie così di sorpresa che non riesco ad opporre la minima contromisura; addirittura uno scarponcino mi rimane attaccato al pedale e sono scalzo su un piede. Anzi, mi pare di ricordare che la cosa che più mi viene spontanea mentre volo è il guardare per un attimo, davanti alla ruota anteriore che ha fatto da fulcro, per capire quale può essere stato l'ostacolo da me non visto che mi ha giocato lo scherzo. Atterro due o tre metri più avanti: cerco di rialzarmi subito per verificare prima il mio stato (qualche escoriazione, la più vistosa sul ginocchio destro); a parte il dolore mi pare di funzionare tutto. Sfilo la borraccia dalla bici e cerco di dare una ripulita alle ferite; poi recupero anche la scarpa. Ora tocca alla bici; non riesco ancora a realizzare cosa mi abbia fatto volare, niente radici o sassi vistosi al suolo. La bici sembra intatta, ma trascinandola verso me... la ruota anteriore è bloccata! No! Già una volta sono rimasto appiedato per una ruota deformata dopo una caduta e qui sto ad almeno 30 km da casa in un posto che vallo a spiegare a mia moglie! Eppure la ruota pare integra... ma non si muove di un millimetro. Guardo allora i freni se possono aver subito qualche danno e sono loro bloccare la ruota. Ah...! Ecco il "colpevole": una piccola "scheggia" di legno di 5-6 centimetri di lunghezza e delle dimensioni precise per andarsi ad incastrare perfettamente tra gomma/cerchione e forcella/freni. Talmente perfettamente che non riesco a far girare la ruota nemmeno tirandola a mano per farlo espellere. Preferisco non forzare ulteriormente, visto che l'incastro interessa anche un raggio. Sgancio i freni, sfilo la ruota e finalmente l'intruso salta via con la pressione un dito. Rimonto il tutto: la ruota gira alla perfezione. 
Sono stranamente felice; eppure sono incappato proprio in quell'evento (un bastone nella ruota anteriore in piena discesa) che ogni volta che mi sentivo raccontare mi faceva rabbrividire e mi faceva pensare a quanta rabbia avrei provato se fosse toccato a me, tanto era un evento raro e quindi sinonimo di elevata sfortuna. Però, analizziamo i fatti: considerando il volo sono intero, la bici è integra, riesco a tornare a casa autonomamente e... mi è toccato quel caso su 1000 di jella pura, quindi ora dovrei essere "vaccinato"; statisticamente ora dovrei stare a posto per il resto della mia carriera di biker!
Quasi col sorriso sulle labbra risalgo in sella e riparto, proseguendo la discesa. Riesco a percorrere 20-30 metri , giusto il tempo per riprendere velocità (per fortuna sempre la mia consueta velocità moderata in discesa), che... questa volta vedo distintamente, seppure per una frazione di secondo, uno spezzone irregolare di ramo che va ad infilarsi tra i raggi della ruota anteriore e viene trascinata nella rotazione di questa verso l'alto, fino ad incontrare la forcella; anche in questo caso sono però impotente. Di nuovo vengo catapultato in aria atterrando poco più avanti e di nuovo mi ritrovo con altre escoriazioni, questa volta sul ginocchio sinistro. Per qualche secondo non ci vedo più dalla rabbia: la prima cosa che mi viene spontanea è di rialzarmi, afferrare la bici e scaraventarla (con un minimo di cura...) un paio di metri più in là e... lo ammetto, pur essendo uno che lo fa raramente, mi sono scappate due sonore bestemmie, che nel silenzio assoluto del bosco devo essere risaltate decisamente.
Essere incappato per due volte di seguito, a distanza di pochi minuti o meglio di pochi metri, in un evento che già è raro capiti una volta nella vita... Mi sembrano quelle combinazioni di una su un milione, che se si incanala come evento fortunato rappresenterebbe un terno secco al lotto!
Io invece sono riuscito a farlo al contrario!

 

 

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BENZINA CARA? (Luglio 2006)

Quello che segue è un brano tratto dal mio blog (si, anche io mi sono lasciato trascinare dalla moda del momento...).
L'argomento investe molto alla lontana il mondo della bici, però... aiuta a riflettere.
A seguire troverete un commento lasciato, sempre sul blog, da una visitatrice tedesca.


Come periodicamente accade in occasione di rialzi dei carburanti si torna a sentir parlare di caro-benzina.
Ritengo che il prezzo della benzina (e carburanti in generale) non sia poi così alto.
E mi da questa convinzione il fatto che sia l’unico o quasi (insieme a mia moglie) che accompagniamo a piedi, e andiamo a riprendere allo stesso modo, nostro figlio a scuola. Questa pur distante solo 500 metri infatti è raggiunta da tutti (qualcuno anche un po’ più vicino di noi) in automobile! E non di rado facciamo prima degli altri motorizzati, che si ritrovano poi invischiati nella selva di auto attorno alla scuola; si tratta di nemmeno 10 minuti di cammino.
E magari si ha il coraggio di lamentarsi dei figli pigri e apatici...
Oppure il vedere che, sempre la stragrande maggioranza, raggiunge il vicino supermercato a 300÷400 metri sempre in auto, anche quando deve comprare cose facilmente trasportabili a piedi. 
Per non parlare poi di quelli che "parcheggiano" con il motore acceso anche per vari minuti...
(tralascio l'aspetto inquinamento...)

Beata pigrizia…

 

Commento della visitatrice tedesca:
Ciao, non pensavo di trovare Italiani che vanno a piedi più di 10 metri, tranne a Ravenna (vanno in bici). Ma io sono fortunata perché la mia scelta è semplicissima: Per andare al lavoro ci vuole una mezz'oretta per gli 8 km, o in macchina o in bus o in bici, quindi vado in bici. Si tiene la forma senza spendere soldi, due ottimi argomenti, secondo me. In bici si può trasportare 20-30 chili di spese e c´è sempre posteggio. 
Un saluto cordiale dalla Germania.

 

 

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FELICE, ECCITATO... MA UN PO' DI MALINCONIA (Ottobre 2006)

Già non è che io sia uno che cambia la bici molto frequentemente, rispetto alla media, poi se deve farmi questo effetto...

La mia prima anonima bici (Tecnobike) mi aveva accompagnato nelle escursioni per oltre otto anni; la seconda, più blasonata Giant, ritenevo che in proporzione mi avrebbe tenuto compagnia anche per il doppio degli anni.
Invece dopo 5 ho fatto il cambio. E non per problemi specifiche della bici, quanto di compatibilità con me. Il problema principale infatti è stato il tentare di convivere con un telaio troppo grande 19.5", per la mia statura 1.76 (succede quando il venditore cerca di appiopparti quello che ha disponibile e quando non hai l'esperienza per valutare e ti lasci trascinare dall'emozione del momento...). Per quanto con fiducia ho aspettato di familiarizzarci, pensando che fosse solo una questione di tempo, mi sono arreso all'idea che non ci si può adattare a forza ad una cosa così fondamentale come la taglia del telaio; nei passaggi più tecnici, invece di migliorare col cambio di bici, mi sembrava di regredire, con un senso continuo di instabilità e poca maneggevolezza. Così dopo 5 anni mi sono rassegnato all'idea che dovevo trovare una bici più adatta a me, anche perchè con l'occasione avrei avuto una nuova forcella (unico punto carente della vecchia Giant per via della ridottissima escursione della suntour) e qualche rapporto agile in più, che mi avrebbe aiutato nel mio accanimento di voler superare tutte le pendenze, o il massimo possibile, in sella ( e che sarebbero venuti in supporto all'età che inesorabilmente avanza...).
Il miglior compromesso prezzo/qualità che sono riuscito a trovare è stata una Merida Matts Sport 500-V. A vederla così nuova fiammante, tutta lucida e nera (ben sapendo che durerà poco, considerando dove mi vado ad infilare di tanto in tanto nelle mie escursioni esplorative) non vedevo l'ora di salirci sopra. Da qui la felicità e l'eccitazione. Però poi ripensando alla "vecchia" Giant... un peso sul cuore: non potevo tenere anche lei, per problemi di spazio ed anche economici, dovendola dare indietro in permuta, come metà (quasi) del valore della nuova. Dovevo mollarla ed è la prima volta che mi capita, fedele compagna di 5 anni di avventure passate insieme. Che tristezza lasciarla così come un ferro vecchio, abbandonata in quel magazzino in mezzo a tutte le altre bici usate…
Mi sono sentito come un padrone che abbandona il suo cane col quale hai condiviso, nel bene e nel male parte della vita! Andandomene in sella alla nuova non ho avuto nemmeno il coraggio di voltarmi indietro a guardarla.
Addio vecchia Giant, anzi spero proprio che sia un arrivederci e di incontrarti un giorno sul tuo terreno preferito, ad emozionare il tuo nuovo partner, in mezzo alle montagne…

 

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IL MIO EX NEMICO (Aprile 2008)


E' un sabato mattina di aprile e ho in programma una capatina sulla catena montuosa che delimita a sud, la conca ternana. Come mia abitudine, come porta di accesso verso questa, sfrutto quello che per me è il miglior compromesso tra rapidità nel raggiungerla e tipologia di strade, per cui, al fine di includerci in mezzo un po’ di sterrato, opto per la strada di Fiaiola.
La tappa di avvicinamento include il superamento di una bassa catena collinare verso il cui culmine, c’è il mio “nemico”; un grosso pastore maremmano, a guardia di un grande casolare, che si distingue dagli altri per la sua aggressività. È il cane che meglio conosco, visto che sono dieci anni che ci “frequentiamo”, passando da lui più volte ogni anno; le prime volte mi terrorizzava proprio, pur dietro il suo recinto: quando arrivavo all’altezza del casolare, lungo una discreta salita sterrata, sembrava indemoniato, pareva che volesse abbattere la recinzione. Abbaiava in una maniera selvaggia, in modo assordante ad un paio di metri da me, con la bava alla bocca, tanto che pensavo, se solo fosse potuto uscire mi avrebbe sbranato. A volte quasi avevo timore a passare lì, per il rischio, sempre possibile, che il padrone avesse lasciato aperto il cancello e passandogli vicino lo guardavo quasi con odio: “Ma che vuoi maledetto? Io che amo gli animali…”.
Siamo invecchiati insieme, in questi dieci anni. Dieci anni fa eravamo entrambi al massimo: lui era una belva con la sua possenza; e io con i miei 30 anni, nel massimo della mie capacità fisiche, che aggredivo quella salitella a tutta, con rapporti medi. Gli anni per me sono passati, ma per lui sono volati.
Io ora devo regolarmi e fare quella salita con un paio di rapporti più corti dei primi tempi, ma lui…
Questa mattina mi ha visto solo all’ultimo momento, quando ero all’altezza della sua cuccia, probabilmente anche i suoi sensi lo stanno abbandonando. Ha iniziato subito ad abbaiare, ma in maniera meno potente del solito; per istinto o abitudine si è alzato di scatto, ma uno scatto che non aveva nulla più a che vedere con quello che aveva fino allo scorso anno, tanto che lo sforzo lo ha fatto subito barcollare e ha avuto effetto anche sul suo abbaiare, che subito è divenuto stanco e asfittico. Mi sono girato verso lui, guardandolo negli occhi: erano occhi infiacchiti dalla vecchiaia. Provava a fare quello che sapeva fare, quello che aveva fatto ogni volta che passavo lì, ma non ne aveva più la capacità. Il suo abbaiare si faceva sempre più flebile e ne usciva più solo uno strano sibilo; con un’andatura stanca e svogliata si è portato, nella sua posizione, a ridosso della recinzione, cercando di seguirmi, man mano che mi allontanavo, più per “dovere” che per convinzione.
Il prossimo anno io ripasserò lì, facendo quella salita forse con ancora un rapporto in meno, ma forse da solo.
Chissà se tu ci sarai più ancora, a farmi compagnia in quella salita, a incitarmi e darmi forza e parte del tuo impeto, vecchio amico mio…

 

 

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QUELLI CHE HANNO VISTO L'ORSO (Giugno 1996)


[DAL CASSETTO DEI RICORDI… (Giugno 1996)]
Si parla di mountain, ma non si parla di bike.
In compenso c'è molta emozione ed è tra i miei più bei ricordi, sarà anche che l'ho condivisa con la mia metà...

L'estate '96 è alle porte.
Entro la fine di quest'anno nascerà nostro figlio.
Mia moglie Giuliana è al terzo mese di gravidanza.
E' in pratica una delle ultime occasioni per compiere un'escursione in montagna, di cui siamo amanti. Poi chissà quando se ne riparlerà.
Per "concludere" in bellezza decidiamo di fare una trasferta di due giorni al Parco Nazionale d'Abruzzo, dove Giuli non è mai stata. Opto per due tra i più bei sentieri del parco, con meta Forca Resuni: uno, per salire fino al rifugio, più lungo e un po' meno ripido, viste le condizioni di lei, e l'altro più breve per tornare alla base.
Tra l'altro è il primo fine settimana di giugno e sarà l'ultima occasione per poter percorrere liberamente i sentieri; poi fino a settembre si potrà andare solo in gruppi accompagnati dalla guida del parco.
Il sabato mattina arriviamo con una mezz'ora di ritardo rispetto a quanto prefissato: purtroppo Giuli in quello stato soffre il mal d'auto e le nausee ci costringono a qualche sosta lungo il tragitto.
Parcheggiamo nel paese che farà da base, Civitella Alfedena, e, senza perdere tempo nei soliti preparativi dell'attrezzatura fotografica e video, ci mettiamo subito alla ricerca dell'attacco del sentiero di andata. Incredibile: non si riesce a trovare; tutti tranne quello! Chiediamo informazioni e ci spiegano che per dei lavori su alcune strade del paese la segnaletica della sentieristica ha subito qualche spostamento e non sarà facile ritrovarlo. Pare tutto tramare contro! Nel frattempo avevamo invece trovata la tabella di quello che avremmo usato come via di ritorno. E' tardi.
"Giuli, te la senti di fare un'andata un po' più impegnativa di quanto ti avevo prospettato?"
Tra il rassegnato ed il comprensivo acconsente.
Iniziamo l'ascesa per la Valle di Rose, immersi in un bosco magnifico, iniziando da subito a guardarci intorno per ammirare la natura ed avvistare qualche possibile abitante del bosco. Ci precede di un centinaio di metri una famiglia con bambini; fanno un gran vocio. In questo modo difficilmente riusciranno a vedere qualcosa. E nemmeno noi! Ne parlo con Giuli: "Te la senti di aumentare l'andatura solo per qualche minuto? Il tempo di sopravanzarli e lasciarceli indietro." Visto lo scopo dell'escursione anche lei è d'accordo.
Poco più avanti un nuovo gruppo di persone; che riusciamo a sentire, prima ancora di vederle, tanto fanno chiasso!
Le raggiungiamo. A giudicare dai loro discorsi fra loro sembrano grandi competenti di parchi: "Lo scorso anno siamo stati per la terza volta allo Stelvio..."; alla faccia...; mi veniva quasi spontaneo chiedergli cosa mai avranno visto se quello era il loro modo: peggio dei bambini di prima. Paziento ancora qualche minuto e poi mi volto verso Giuli con aria interrogativa sul da farsi, anche se un po' preoccupato sulla sua tenuta, sempre tenendo conto del suo stato di salute. Annuisce, d'accordo su un nuovo "sprint" strategico. Sempre accondiscendente il mio tesoro; anche se mi sento un po' in colpa nello "strapazzarla" così .
Riusciamo a prendere margine, tanto che iniziamo a non sentirli più; siamo di nuovo nella pace del bosco.
Un centinaio di metri più avanti scorgiamo una coppia di altri escursionisti, sembrano una coppia di ragazzi nostri coetanei e sembrano anche tranquilli: non si sentono, non si agitano. Potrebbero anche essere una piacevole compagnia quindi per il resto del cammino.
Il sentiero sale, con il terreno che declina leggermente verso sinistra; il mio sguardo si volge in quella direzione: una sagoma scura si muove lentamente. Non credo ai miei occhi: un orso!
Un vero orso!
Uno splendido orso marsicano !
Stringo Giuli ad un braccio, avvisandola con voce strozzata:
"Giuli... un orso..."
"Un orso?! Dove?"
Glielo indico con la mano. Era ad una ventina di metri da noi e risaliva pigramente la costa a testa bassa senza accorgersi di noi ed evidentemente senza nemmeno sentire il nostro odore perchè probabilmente gli eravamo sottovento, tanto che ci stava tagliando la strada.
Istantaneamente: Giuli, che per fortuna non ha urlato, schizza allontanandosi a qualche decina di metri (poverina, un altro po' e abortiva sul posto); io, accovacciandomi a terra mi sfilo lo zaino buttandolo a terra alla ricerca della telecamera. In quel momento mi ricordo: per risparmiare tempo alla partenza non avevo nemmeno caricato ne batteria ne cassetta.
Metto la batteria, inserisco la cassetta; ma nel frattempo si sentono i vocii dell'ultimo gruppo che avevamo staccato, in avvicinamento. L'orso li sente o forse avverte la nostra presenza, proprio mentre stava attraversando il sentiero.
Fattostà che alza la testa, mi vede e trotterellando senza nemmeno troppa fretta, si infila tra la vegetazione alla mia destra. La telecamera è pronta; gli vado dietro (non si dovrebbe uscire dai sentieri... solo per nemmeno 50 metri e non più di due minuti).
Allontanatosi qualche decina di metri, l'orso ha ripreso la sua normale pigra andatura. Attraversando un valloncello con poca vegetazione riesco a fargli una bella ripresa. Tra l'altro forse per controllare o forse perchè avverte la mia presenza, per un momento si volta indietro alzandosi quasi su due zampe; poi quasi con indifferenza si rimette a quattro zampe sparendo lentamente in lontananza.
Che spettacolo! Torno da Giuli, che nel frattempo era stata raggiunta dagli altri che gli sono intorno; la notizia si è diffusa. Siamo una celebrità, manco avessimo fatto chissà quale impresa.
Anche al rifugio siamo "quelli che hanno incontrato l'orso".
Lo stesso la sera in albergo, quando stupito per così tanto clamore e non comprendendo ancora l'enorme fortuna avuta (se noi l'abbiamo incontrato così "facilmente", dev'essere una cosa abbastanza consueta), chiedo spiegazioni all'albergatore, il quale, dopo aver anche visto la ripresa che avevo fatto: "Voi non immaginate la fortuna che avete avuto; quelle rare volte che si vede un orso si tratta prevalentemente di vecchi esemplari, spesso malandati. Invece da quello che si vede è un bellissimo esemplare, giovane, con il pelo folto e lucido. Io ospito gente che sta qui una settimana e si alza tutte le mattine prestissimo per appostarsi appositamente per vedere gli orsi e dopo una settimana se ne vanno quasi sempre a mani vuote. Voi invece..."

Noi invece... ricordiamo sempre con immenso piacere, il nostro incontro con l'orso.

[IL RELATIVO VIDEO SU YOUTUBE]
 

 

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UNA MOGLIE MOOOOLTO APPRENSIVA! (Gennaio 2010)


Qualche volta mia moglie, quando vado fuori zona, mi chiede info sulle zone che toccherò, sarà pure perchè vado quasi esclusivamente in solitaria e la cosa non la lascia molto tranquilla...
Ed è troppo spassoso sentire le sue reazioni ai nomi di alcuni monti (è un tipo molto apprensivo...).

Ricordo ancora la prima volta, quando gli dissi che andavo sul monte Aspra, monte che inaugurò quindi la serie di quelli con nomi... "pericolosi"; lei, dopo qualche secondo di pausa: "Aspra... è come aspro... Ma perchè si chiama così? Non sarà pericoloso?" Quasi quasi avrebbe preferito che non ci andassi.

Di tanto in tanto quindi ci risiamo...

Lo scorso anno stessa storia, anzi, reazione anche un po' peggiore, quando nel tour sui Sibillini, includevo il Passo Cattivo: "Se si chiama così ci sarà un motivo!".
Sempre lo scorso anno allora, in un giro che avevo organizzato sui monti Sabini, ho decisamente omesso di specificargli che tra i vari altri che invece gli avevo nominato, tutti inclusi nello stesso itinerario e che avevano suscitato già qualche preoccupazione (monte Porco Morto, monte Macchia Gelata, Monte Scollato), il più "pericoloso" di tutti: monte Rischioso! (avrei proprio rischiato una sua crisi isterica!)

Tre giorni fa, per un giro perlustrativo trekking in Valnerina, di nuovo; ma alla sua domanda su quale monte andassi... non ce l'ho fatta proprio, sono scoppiato a ridere e non riuscivo a pronunciare quel nome: alla prima sillaba il riso mi sopraffaceva e coinvolgeva pure a lei, e così per tutti i tentativi per almeno oltre un minuto, tanto che nostro figlio, accorso da un’altra stanza, ci guardava come si guardano due matti!
Alla fine, ma dopo alcune storpiature del nome, sempre a causa del riso che continuava ad avere il sopravvento, ce l'ho fatta: Monte Birbone!
Pian piano il riso va scemando in lei e tornando seria: "Per chiamarsi Birbone un motivo ci sarà pure!"

Bisogna proprio che organizzi un giro in Abruzzo su un certo monte; sai che soddisfazione (per me, ma soprattutto per lei!) potergli dire: “Vado sul monte Tranquillo!”

 

 

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MALEDETTO PROGRESSO (Luglio 2016)


La descrizione di qualche secondo di quasi panico, durante un giro in bike.
Salita media su asfalto (pendenza 6÷7%) verso il Colle del Lazzarà; prima pedalata dopo una decina di giorni di inattività a seguito delle vacanza al mare.
Nel silenzio assoluto sento alle mie spalle il tipico rumore di una bici che sta sopraggiungendo; a giudicare dalla velocità di approccio sarà sicuramente una bici da strada, penso. Invece con la coda dell’occhio la prima cosa che vedo sono ruote “grasse”, di una mountain bike. Pensata di ripiego nella frazione di secondo successiva: allora deve essere un giovante e aitante atleta molto performante. Rapidamente mi affianca e l’occhio va sulla sua faccia; capelli bianchi, anziano, almeno ultrasessantacinquenne! Dopo 10 giorni di inattività ci può stare che non vada granchè, ma possibile che io stia salendo così di schifo?!
Per fortuna la frazione di secondo seguente, quando oramai mi ha velocemente sopravanzato, vedendo oltretutto una pedalata con frequenza metà della mia pur con velocità almeno doppia, spiega tutto: una mountain bike elettrica!
Maledetto progresso, può far venire un infarto!


 

 

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AVVENTURA OCCASIONALE CON UNA SCONOSCIUTA (Luglio 2021)


In vacanza nel sud-ovest Sardegna e come consuetudine prima di partire, prendo contatti con chi noleggia mountain bike in zona, per dedicarmi la mia mezza giornata in sella. In questo caso Probike a Pula. Devono avere problemi di comunicazione tra loro (nonché varie inesattezze sul loro sito), perché quando vado in negozio a stabilire gli ultimi dettagli, mi dicono che al momento non c'è disponibilità di mountain bike classiche ma solo elettriche, stupendosi che mi avessero scritto diversamente; declino.
Poi nell'appartamento in affitto per la vacanza messa in un angolo vedo "lei". Il cosiddetto "cancello", che poverina, mi fa una pena, nata "mountain" e finita "sea", che chissà se ha mai fatto nella sua vita qualcosa di diverso dal tragitto paese, supermercato, spiaggia; catena arrugginita, forcella inchiodata (chissà se mai si è mossa), gomme a terra. Non posso certo azzardare di farci il severo giro preventivato nell'entroterra, però... La notte ci penso e ieri mattina gli dedico una mezz'ora; gli stacco tutta la morchia che si era accumulata nei pignoni di rinvio, la lubrifico con l'unico olio che ho a disposizione (quello di oliva :-D), la gonfio con compressore dell'auto, poi ci vado al vicino supermercato, mi porta e riporta.
Stamattina facciamo un patto simbiotico: io la faccio uscire, però lei non mi deve tradire! Rischio comunque calcolato; il giro non si allontanerà oltre i 10, 11 km da dove sono di base quindi alla peggio, torno a piedi. Ecco dove mi ha portato (o io ho portato lei), la fantastica strada romana di Chia; pure un tratto di single-track gli ho fatto fare, (dove le sospensioni si sono schiodate e hanno ripreso a muoversi :-D). Due ruote, un paio di pedali, la meccanica minima e un po' di accortezza, a volte bastano per divertirsi ed emozionarsi...
Se capitate in zona la strada romana è consigliatissima, (presa dalla torre di Chia, verso nord-est)!

(E se le bici hanno un'anima, questa non mi dimenticherà mai :-) )


 

 

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